
Layne Redmond, 1997, Three Rivers Press, New York.
È stata pubblicata la versione italiana del libro da Venexia Editrice. http://www.venexia.it/libri/collane/le-civette/saggi/quando-le-donne-suonavano-i-tamburi/
Questo libro è un viaggio e un invito a riconnetterci al nostro ritmo.
Ha risvegliato in me un mondo sommerso, fatto di simboli, musica, danza e meditazione sui cicli, come quello di Vita-Morte-Rinascita.
L’autrice, Layne Redmond, ci accompagna in luoghi dimenticati del nostro inconscio collettivo attraverso una meticolosa ricerca bibliografica, in cui emergono Marija Gimbutas e Joseph Campbell, e un’intensa ricerca sul campo dell’archeologia e dell’arte, per ricostruire ‘Una storia spirituale del ritmo’, come recita il sottotitolo. Sottolineo ‘spirituale’ perché la Redmond trova una connessione profonda fra la dimensione rituale e l’uso della musica, in particolare del tamburo, che già sappiamo esserci stata, ma in questo libro emerge come le donne fossero le esclusive custodi della conoscenza dei ritmi della vita prima e della musica poi, sin dall’inizio della storia dell’umanità, sin dai primi reperti del paleolitico. Le donne in quanto generatrici della vita rappresentano il potere rigenerativo della natura; il loro ritmo di fecondità è collegato al ciclo lunare e nei reperti che ci sono pervenuti emerge dunque la figura femminile come simbolo della Dea Madre ( la Dea di Willendorf, Laussel e Kostenki).
L’intera nostra esistenza si basa su eventi ritmici: dal sangue pompato dal cuore, e che percepiamo già nel grembo della nostra madre; da ciò che osserviamo in natura attraverso i giorni, le lune, le stagioni; ai grandi cicli delle stelle e delle galassie sino all’origine dell’universo, descritto in tutte le tradizioni come un suono primordiale.
Se apriamo il libro sulle prime pagine troviamo una stupenda mappa che dall’India arriva sino a Roma, per guidare il lettore in questo viaggio.
Uno dei capitoli più interessanti (pg. 43-55) è quello che riguarda gli studi archeologici svolti intorno al 1960 sui resti della città di Çatal Hüyük (Turchia), che pare sia stata uno degli insediamenti neolitici più grandi di quel periodo (7200 – 5500 a.c.), con una civiltà basata sul culto della Dea Madre (Paleolitico), un culto sopravvissuto ai cataclismi del Mesolitico, come ha dimostrato l’archeologo James Mallaart attraverso le numerose rappresentazioni ritrovate nel sito. Qui vediamo per la prima volta rappresentato il tamburo, insieme ad altri strumenti in una danza di figure umane, probabilmente un rituale sciamanico (circa 5600 a.c.).
I simboli che caratterizzano i culti di questa civiltà, compreso il tamburo, diverranno poi ricorrenti nelle civiltà dei tre grandi fiumi: Indo, Tigri-Eufrate e Nilo. Simboli che subiranno varie metamorfosi fino al mondo classico: il toro/vacca, l’avvoltoio, l’ape regina e il leopardo/leone. Sono tutte manifestazioni di un potere naturale che sarà poi attributo alle divinità classiche; archetipi che hanno un’energia e un potere psichico di cui forse abbiamo memoria. Emblematica è la figura della Dea Cibele accompagnata in genere da due leoni con in mano il tamburo.


Il tamburo è stato lo strumento prediletto, presente in tutte le culture, affinché si accompagnasse con i suoi ritmi le fasi dell’esistenza e della natura, si potessero creare ponti fra i mondi (quello di sopra, quello di mezzo e quello di sotto) e viaggiare attraverso di essi (sciamanesimo), venerare e dialogare con la Grande Dea, anch’essa come abbiamo visto anticamente rappresentata con un tamburo, dunque custode dei ritmi della vita e della morte.
Il testo è accompagnato da splendide immagini (statue, dipinti, bassorilievi, affreschi) nelle quali possiamo osservare i rituali dove la musica era protagonista e dove si manifesta la Grande Dea declinata in tutti i suoi molteplici aspetti, perché, come sottolinea la Redmond, se ci aspettiamo di poter sovrapporre la sua immagine a quella del Dio Unico delle religioni monoteiste, ci sbagliamo completamente. La complessità della Madre Divina rispecchia la complessità della vita e della natura, dove non c’è dualità, non c’è una ‘bene’ e un ‘male’ ma solo una ‘necessità’. Nelle divinità della religione induista si son forse maggiormente conservate queste caratteristiche.
Quanti nomi, forme, simboli, ha assunto questa Grande Dea ?
“In Egitto era Hathor, Isis Seckmet. Nella regione Sumera, Palestinese e Cipriota era Innanna, Ishtar, Astarte, Astoreth, Anat, Afrodite. In Anatolia, Asia minore, Creta, Grecia e Roma era Cibele, Rea, Demetra, Artemide, Ariadne Persefone.” (pg. 8). Tantissimi, e molte di loro sono rappresentate con il tamburo… troviamo la presenza della Grande Dea ovunque anche dove la sua presenza e potere volevano essere cancellati in favore dei culti del patriarcato. Ad esempio troviamo i suoi simboli, come quelli del labirinto con un fiore a sei petali (antico simbolo di Afrodite), nella famosissima Cattedrale di Chartres. Troppo radicata la sua presenza per essere estirpata: per secoli, durante la predominanza del cristianesimo, le donne sono state escluse dai culti, dalla musica (che era parte di essi) e dunque dalla vita spirituale, ma il seme è sempre rimasto dentro per poi rifiorire in alcuni momenti storici propizi in cui il divino femminino si è manifestato sotto altre forme e, per quanto depotenziato, era ancora vivo e presente. Altro aspetto che il paradigma Cristiano ha modificato è il senso del tempo : non più inteso come ciclico (vita-morte-rinascita, rinnovato ogni anno secondo momenti e rituali precisi) ma come lineare (da qui fino al giudizio universale): l’autrice evidenza come questo fatto abbia avuto un forte impatto sulla nostra psiche e dunque come abbia generato un senso dell’esistenza profondamente diverso.
Personalmente, quando ho sentito la chiamata del Tamburo è stata una cosa molto importante nella mia vita, perché mi ha donato l’occasione di riconquistare una facoltà che non avevo sviluppato pienamente e che aveva bisogno di essere risvegliata e nutrita. È un grande viaggio verso la scoperta del ritmo nascosto in ogni cosa, se ascoltiamo bene.


Donne e uomini di oggi sono in cerca di questa parte mancante, reclamano il loro spazio sacro, per ritrovare sincronia ‘con tutto ciò che è’. Sparsi sul territorio nazionale ci sono cerchi di Drum Circles dove ognuno può partecipare con gli strumenti messi a disposizione dai facilitatori.
Interessante e da approfondire è l’ultima parte del libro dove la Redmond ci riporta al nostro presente e agli strumenti che abbiamo per riconnetterci a una spiritualità dove la musica gioca un ruolo fondamentale, quello di unire le persone sullo stesso ritmo, sulla stessa frequenza.

È stata pubblicata la versione italiana del libro da Venexia Editrice, tradotta dalle donne ricercatrici e musiciste dell’Associazione TavolaTonda.
http://www.venexia.it/libri/collane/le-civette/saggi/quando-le-donne-suonavano-i-tamburi/
Firenze, 15/04/2020
Datura Martina Lo Conte

Sarei felice di poterlo leggere in italiano.
Adi Shakti ✨
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